Il rapporto del Cinema con la realtà è fondamentale, controverso e inevitabile. Il Cinema si insinua nei racconti di cronaca e ne beve il sangue fino a dare vita ad un flusso luminoso che, drammaturgicamente e drammaticamente, carpisce il pubblico in termini di familiarità. La familiarità è quella costante generata, specie nell’epoca post mediale, dall’iper riproposizione informativa di un racconto di cronaca, nella maggior parte dei casi, di cronaca nera, in grado di insediarsi nell’immaginario collettivo delle persone. La mini serie di Pippo Mezzapesa “Avetrana – Qui non è Hollywood” è l’esempio cardine di quanto esplicato: l’omicidio di Sarah Scazzi del 2010, penetrato nelle case degli italiani con sdegno e oscena curiosità, risulta immediatamente familiare. I quattro episodi della serie (soggetto tratto dal libro “Sarah, la ragazza di Avetrana” di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni) infatti, non sono che una reificazione di quel processo di linciaggio etico che lo spettatore, di fronte a questo raccapricciante spettacolo tragico, ha eseguito nei confronti dei protagonisti, la famiglia Misseri, responsabile dell’omicidio di Sarah Scazzi. Questa volta, purtroppo o per fortuna, anche lo spettatore viene irretito fino al collo dalla vicenda, senza possibilità di scappare: è giunto il momento di scontare la colpa.
Fin dal primo episodio, che vede protagonista Sarah, lo spettatore attraversa la vicenda, posizionandosi alle calcagna della ragazza, vivendo con angustia i suoi ultimi giorni di vita, mediante alternanze di primissimi piani su volti e oggetti che costruiscono fulminei momenti di tensione, tuttavia, stroncati sul nascere. Come se il film, in un certo modo, simulasse i meccanismi dell’horror al fine di smentirne la sua appartenenza, poiché, esso non ha il mero fine di produrre suspence, bensì di rendere tangibili le pulsioni malsane di un luogo, una casa, una famiglia, di una donna morbosa nei confronti di un uomo fino ad arrivare ad uccidere sua cugina di 15 anni. L’empatia che il pubblico nutre verso il personaggio di Sarah, è reduce di un meccanismo mediatico che è precedente all’esperienza filmica, un’ironia drammatica che non consente, allo spettatore di sperare, nemmeno inconsciamente, nella salvezza della ragazza. È evidente che la cosiddetta adesione al patto di finzione è rivoluzionata dal desiderio voyeuristico dello spettatore di vedere con i propri occhi la scena, l’azione, i dettagli dell’omicidio, ai quali non può accedere se non con il processo di mimesis insito nel Cinema. Eppure sembra che l’esperienza filmica stravolga l’aspettativa del pubblico, l’uccisione di Sarah, alla pari di una tragedia greca, non viene mostrata, almeno non chiaramente. L’azione viene declinata in un lungo processo deduttivo ricavabile dalle visioni psichiche e macbethiane, rispettivamente, di Sabrina, Michele e Cosima intenti a fare i conti con un devastante effetto collaterale, dettato dalla hybris, e con l’occultamento del marcio di una casa in virtù delle le apparenze.
Come le Baccanti di una tragedia greca, le continue giustapposizioni qualificative delle scene che raccontano di un cadavere in putrefazione e una Sabrina ossessionata dal cibo, sono ascrivibili, metaforicamente, in un vero proprio sparagmos, dove le carni di un’innocente vengono dilaniate dall’irreparabile fame di violenza, capro espiatorio della non accettazione di sé stessi. Tuttavia, lo spettatore che assiste al macabro convivio, non può redimersi dalle sue colpe, è responsabile di essersi nutrito, ingiustificatamente, dall’efferatezza dei media che spesso ne parlano “Come se fosse scomparsa una mosca”. I toni del tragico, vengono espressi, attraverso momenti puramente grotteschi, come la danza macabra di Vanessa Scalera, che nei panni di Cosima, restituisce con minuzia, il deteriorarsi della nozione di “umanità” quando si prediligono solo le apparenze. Un ballo inappropriato, irrispettoso, una metafora perfetta di tutto ciò che è ruotato intorno a questo omicidio. Che cos’è questa serie se non un esperimento catartico e un tentativo di recuperare la sensibilità per tornare ad essere umani?
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