Sebbene l’ultimo episodio di Black Mirror, la popolare serie Britannica targata Netflix, venga considerato come un vero e proprio feature film Bandersnatch ha molte più cose in comune con un videogioco di quanto si possa pensare, specialmente se paragonato alle varie avventure grafiche degli ultimi anni
Il valore delle scelte
In effetti, l’episodio parte con questa premessa: ciascuna scelta da noi compiuta avrà delle conseguenze e potrà cambiare le sorti della storia, così come in un qualsiasi titolo Telltale o in Life is Strange. Ma proprio come nel titolo Dontnod, il tutto si riassume in una serie di scelte più o meno significative e scelte che possono davvero metterci davanti a dei bivi. Tuttavia, presto le scelte cominceranno ad assumere lo stesso livello di moralità , che ci faranno provare sensazioni tutt’altro che giocose, in pieno stile Black Mirror.
L’unico difetto che si potrebbe trovare nel corso della visione è quello di balzare da un percorso ad un altro senza aver ricevuto determinate risposte e creando così dei veri e propri buchi nella trama rendendo la trama dispersiva ed inconcludente agli occhi degli spettatori più esigenti, ma parliamo di un problema presente anche nei videogiochi che seguono questo tipo di narrazione.
Il tutto è gestito nei minimi dettagli e a seconda della decisione fatta avremo un feedback positivo che ci permetterà di avanzare o negativo che porterà al game over caratterizzato da una schermata che ci riporterà subito nel vivo della scena. Quest’ultimo particolare è possibile attraverso l’espediente di mini-riassunti di pochi secondi dove ci viene riesposto il contesto della route da noi selezionata, andando quindi a rimpiazzare il frustrante reset dell’intero film, fungendo quindi da checkpoint.
Giocati dal gioco
Ed è proprio nei checkpoint che a mio parere, si nasconde una gran parte del discorso meta-narrativo di Bandersnatch. Ad ogni nuovo checkpoint, Stefan sembra rendersi ancora più consapevole di ciò che sta succedendo, fino a rivolgersi a noi spettatori, rompendo di fatto la quarta parete.
Ma i personaggi che ci metteranno un ulteriore pulce nell’orecchio sono Colin e la psichiatra di Stefan, che a poco a poco diventeranno consapevoli della nostra presenza. E a questo punto non è difficile paragonare la pellicola a giochi come Undertale di Toby Fox e Doki Doki Literature Club di Dan Salvato, due ottimi esempi di titoli che hanno fatto della rottura del distacco tra schermo e giocatore un loro punto di forza.
E proprio come questi ultimi, la sensazione che si potrebbe provare è quella di esser diventati parte integrante dell’universo scritto da Charlie Brooker, ma non come una forza che esercita controllo assoluto sui personaggi, bensì come pedine nel suo gioco personale. In sostanza, abbiamo la stessa importanza e libertà degli attori da noi manovrati.
Fattore rigiocabilitÃ
Un altro fattore che potrebbe avvicinare Bandersnatch più ad un gioco che ad un film è la possibilità di rivederlo più volte e con outcome diversi. In tutto il film infatti, sono presenti ben 5 finali diversi ed in ogni route è ha con se determinati eventi alternativi che possono variare, anche se di poco, il risultato finale. E sebbene questo concetto nei videogiochi è già una loro parte integrante da tempo, nel cinema potrebbe aprire le porte a produzioni cinematografiche interattive di altissimo livello, se ci sarà la voglia di continuare a sperimentare.
In conclusione, Bandersnatch è stato sicuramente un esperimento interessante, non perfetto, ma ha sicuramente preso qualche pagina dal libro del game design ed è riuscita a trasporla egregiamente sulla piattaforma di streaming americana, che si era già dimostrata interessata a questo genere di esperienze interattive aggiungendo al catalogo titoli come Minecraft: Story Mode. Che questo porti ad una rivoluzione nel campo della produzione cinematografica o in un cambiamento nella gestione delle serie Netflix? Staremo a vedere.
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