Insetti, un feto di pulcino divorato semi crudo, incubi, denti, maschere e neonati deformi. Sequenze oniriche lynchiane, un body horror degno del miglior Cronenberg e quel pizzico di guro nansensu nipponico che impreziosisce il tutto. Questo e molto altro in “Denti da latte” di Boris Ramirez Barba, edita da Green Moon Comics per la collana “Tundra”.
Una bambina col volto coperto da una maschera di carta si cava un dentino traballante dalla bocca. Tutta entusiasta lo porta ai genitori, che però non la fanno neanche entrare nella loro stanza e sembrano molto indifferenti. La bimba è energica e creativa, cerca di divertirsi costruendo maschere e aspetta la fatina dei denti. Ma i suoi incubi diventano sempre più asfissianti, non riesce a prendersi cura di se da sola e i tonfi alla porta si fanno sempre più insistenti. Chi o cosa sta bussando? Una cosa è certa: “non lasciarli entrare!”
“Raramente ho avuto modo di leggere un fumetto così disturbante e disgustoso come quest’opera”
Questo il commento del talentuoso fumettista italiano Andrea Cavaletto, che ha curato l’introduzione di “Denti da latte”. L’estetica del disgusto e del bizzarro di Barba è un qualcosa di sublime, l’autore non ha paura di osare, mostrando nel minimo dettaglio elementi altamente disturbanti, quali insetti, fluidi corporei e denti, con l’ausilio di “occhi di bue”. Il senso di smarrimento e claustrofobia e il surrealismo dell’opera sono enfatizzate dalla composizione frenetica e scomposta delle tavole, che si mescolano e si accavallano. Illustrazioni estremamente grafiche, con neri oppressivi e tocchi di colore dati solo da gialli dalla tonalità malata e spenta che non fanno che aumentare la ripugnanza di alcune scene. Un’ottima sintesi di vari stili di fumetto sia orientali che occidentali.
Emblematico l’uso delle maschere che la nostra protagonista userà all’interno della storia. Man mano che gli eventi precipiteranno, anche le maschere diverranno sempre più inquietanti e saranno lo specchio delle condizioni della bambina. All’inizio vedremo buffi animali di carta, simbolo dell’iniziale allegria scanzonata. Verso la fine vedremo un brutto sacco, un po’ “Elephant Man”, un po’ “Il vampiro che ride”, ed una maschera femminile dell’opera No. Quest’ultima, sia essa una Onnamen o una Deigan, simboleggia una trasformazione in atto, una metamorfosi generata da forti sentimenti. Con la caduta della maschera tutti i nodi vengono al pettine, un disvelamento della verità che è sia simbolico che letterale.
“Un sogno di avvenimenti oscuri e pericolosi”
Così il regista David Lynch definì “Eraserhead”, il suo primo lungometraggio, una perla allucinatoria e paradossale. Tale descrizione calza perfettamente anche per questa graphic novel, la prima firmata dall’autore: una trama kafkiana e frammentata, una storia ambientata tutta in una singola casa che appare quasi fuori dal tempo e dallo spazio. Il disagio costante provato dalla piccola protagonista ci penetrerà fin nelle viscere, ci sembrerà quasi di sentire gli stessi suoni agghiaccianti che sente lei, di percepire il puzzo marcescente dei cibi e il brulicare degli insetti.
Barba riesce a prendere situazioni innocenti ed anche tenere, quelle di una bimba che aspetta felice il dono della fatina dei denti, che gioca con il suo orsetto di peluche e costruisce maschere di carta e a renderle esperienze distorte e ripugnanti. Mette in mostra l’orrore vero, quello che nasce dalla normale quotidianità, quello che non si riesce a spiegare e attanaglia gli angoli più oscuri della nostra psiche. “Denti da latte” ci riporta in quel periodo dell’infanzia in cui tremavamo nel letto, spaventati da rumori e ombre che non riuscivamo a riconoscere ed identificavamo con le nostre recondite paure. Se avete ancora il vostro pupazzo preferito di quando eravate bambini, stanotte dormiteci ben stretti.
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