Ci sono opere per le quali il corso del tempo segue regole proprie, come nel caso de Il deserto dei tartari, “opera della vita” di Dino Buzzati, che lo consacrò tra gli autori più influenti del ‘900 e che grazie a Sergio Bonelli Editore prende nuova forma grazie a Michele Medda e Pasquale Frisenda.
Ed in effetti proprio il tempo, tra le tante altre cose, è il protagonista di questo racconto. Un racconto fatto di attese, di tempi lunghi e dilazionati, di inadeguatezza ed ideali senza tempo. Tutte sensazioni che vive in prima persona il sottotenente Giovanni Drogo dal momento in cui, divenuto ufficiale, viene assegnato come prima nomina alla Fortezza Bastiani, molto distante dalla città .
La Fortezza è l’ultimo avamposto ai confini settentrionali di un regno immaginario e non meglio definito e domina la desolata pianura chiamata “deserto dei Tartari”, un tempo teatro di rovinose incursioni da parte dei nemici. L’estrema articolazione di un regno sconfinato che, proprio in ragione della sua vastità , quasi ha dimenticato quest’avamposto, che rappresenta una destinazione punitiva per i militari meno ligi al dovere.
L’allegoria della vita
In un primo momento Drogo è riluttante nel permanere nella fortezza (cercherà in un primo momento di andare via anche in maniera poco onesta), poiché è convinto di esserci finito per un errore, come tutti finiamo per errore a vivere una vita in cui ogni scelta appare obbligata.
Ma, nonostante ciò, col passare dei mesi nelle vaste pianure desertiche, Drogo trova uno scopo per attendere, rifiuta l’ambiente cittadino, rifiuta di avere una famiglia, sceglie la solitudine della fortezza, sottraendosi alla vita lunga e sicura per un’attesa che sfiora l’impossibile. Da quel misterioso altrove, intanto, da quel Nulla così attraente, giungono messaggeri misteriosi: un cavallo, nuvole, puntini neri, fumi… e i militari della Bastiani trovano in essi coraggio e motivazione per attendere. Â
Un passato glorioso di militari che hanno difeso con la loro intera esistenza il Regno, diffonde nei militari chiamati a difendere il punto più estremo del paese uno spirito d’appartenenza e di sacrificio che vanno oltre ogni altra cosa.
L’eterna attesa
Dopo un trasferimento negato, Drogo capisce che nella fortezza vi è l’unico scopo della sua vita, a cui dedicare ogni singolo istante della sua esistenza e rinunciando a tutto il resto: l’attesa di poter finalmente fronteggiare quel nemico lontano, ignoto, misterioso, diventa il motivo di tutto.
Dopo quattro anni Drogo torna a casa in licenza, ma non si ritrova più nei ritmi della città : prova un senso di estraneità e smarrimento nel ritornare al suo vecchio mondo, a una casa che non può più dire sua, ad affetti a cui scopre di non saper più parlare.
Drogo ritorna alla Fortezza e ai suoi ritmi immutabili. Nell’attesa della grande occasione si consuma la vita dei soldati di guarnigione. Su di loro trascorrono i mesi e gli anni. Drogo vedrà alcuni dei suoi compagni morire, altri lasciare la fortezza ancora giovani o al contrario ormai vecchi, e dopo trent’anni di servizio è diventato maggiore e vicecomandante della Fortezza.
Una malattia al fegato lo corrode fino a costringerlo a letto e, proprio in quel momento, accade ciò che giustificherebbe tutta la vita trascorsa in questo avamposto: la guerra contro il Regno del Nord, che fa affluire truppe e artiglierie lungo la strada.
Proprio quando lo scopo della sua vita sta per arrivare Drogo è costretto a farsi da parte, accettando l’ineluttabilità del destino ma soprattutto accettando l’ultima delle amanti: la morte.
La morte arriverà in un’anonima stanza di una locanda. È qui che capisce quale fosse in realtà la sua personale missione, l’occasione per provare il suo valore che aveva atteso per tutta la vita: affrontare la morte con dignità e sconfiggendo il nemico più grande: la paura di morire.
Talenti al lavoro
Per questa nuova vita editoriale de Il deserto dei tartari il team creativo è uno dei più eccezionali che si potesse desiderare.
Ai testi Michele Medda, tra i più apprezzati autori di SBE, che lo ha visto all’attivo sulle principali testate prima, ed alla creazione di altre poi (Lukas e Caravan erano due suoi progetti).
Pasquale Frisenda è uno dei volti dietro lo strabiliante Magico Vento, che tutti noi abbiamo apprezzato. Il suo tratto etereo ben si presta alle località tanto care al Buzzati, con una sospensione del tempo palpabile, attraverso tavole che fanno tenere il fiato sospeso, con un tratto delicato ma incisivo. Una straordinaria prova di talento e pathos, che rapisce il lettore e lo catapulta tra le desolate sabbie del deserto dei Tartari.
Il deserto dei Tartari, in questa nuova forma, merita sicuramente di essere letto, apprezzato, riletto e fatto proprio. Un albo che impreziosisce l’anima e la propria libreria, con un classico senza tempo che mai come oggi riesce a trasmettere quel senso di inadeguatezza e di incompiutezza protagonista dei nostri tempi. Ora come allora.
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