La scrittrice bosniaca Slađana Nina Perković ci regala una rocambolesca e memorabile cronaca familiare, che è anche un ritratto tagliente e critico della società bosniaca del dopoguerra, in questo libro edito Voland e tradotto da Marijana Puljić.
Trama
Una giovane donna sulla trentina, rassegnata ai propri fallimenti e con la sola passione per le serie poliziesche, viene costretta dalla madre a raggiungere un remoto villaggio per partecipare al funerale di zia Stana, morta soffocata da un pezzo di pollo. L’improvvisa dipartita della zia rischia di mandare a monte la vendita della casa e del terreno di famiglia e catapulta la ragazza in una serie di situazioni folli e grottesche, tra strade di campagna melmose, tentativi di suicidio, infermiere furiose, poliziotti indolenti e scorte segrete di alcol.
“Ci siamo disposti intorno alla bara. Zia Mileva e il cugino Stojan hanno assunto un’espressione da lutto da veri professionisti. Zio Ghiro batteva nervosamente i piedi. Il Pope e la Popessa sorreggevano zio Radomir sotto le ascelle. Zio Radomir si dondolava avanti e indietro. Le prefiche piangevano. Ho dato un’occhiata all’orologio. Nonostante le piccole interruzioni, a causa del rifiuto di zio Radomir di alzarsi dal letto e partecipare al funerale della moglie, le cose procedevano abbastanza bene. Ho pensato con gioia alla mia stanza, al letto, alla coperta e alla tv che trasmetteva le serie poliziesche, e sul mio volto è balenato un sorriso.”
Recensione
Le premesse dell’autrice sono molto chiare: tutto in questo libro è inventato. Tranne nonna Zivana, lei esiste sul serio. Ma con un incipit del genere, corroborato anche da diverse interviste, sembra chiaro che Perković abbia tratto davvero molto dalla sua storia personale. O per meglio dire, da ciò che sarebbe potuta essere la sua vita se non avesse lasciato la Bosnia per concludere gli studi universitari a Parigi.
Il racconto è un lungo flashback narrato direttamente dalla protagonista, senza nome, che troviamo letteralmente caduta in una fossa fangosa. Ma come ci sia finita e perché, lo scopriremo solo al termine del libro. Il titolo originale del romanzo è infatti U jarku che significa appunto “nella fossa” (illustrata in modo molto originale sulla copertina da Damir Omić). Titolo che non solo richiama la situazione in cui si trova la protagonista all’inizio del racconto, ma ha anche un significato metaforico: la fossa è infatti il simbolo di una vita priva di prospettive e di futuro.
“Da quanto tempo sono qui? Non saprei, da diverso tempo, forse anche mezz’ora. Forse di più. Non ne ho idea. Non penso di essermi rotta qualcosa, però non riesco a muovermi. Cioè, non è che non posso. Sarebbe meglio dire che non ho né la forza né la volontà di fare alcuno sforzo, compreso quello di salvarmi”.
Il racconto copre l’intera giornata di questa giovane donna che ha perso ogni speranza nel futuro, non ha concluso l’università e vive ancora con i genitori. L’unico suo diletto è, pare, quello di starsene a letto e guardare serie poliziesche. Il suo nome non viene mai rivelato e raramente interviene nei dialoghi che la coinvolgono, diventando quasi invisibile agli occhi degli altri personaggi: è quindi al tempo stesso protagonista e comparsa nel suo stesso racconto. Non è parte attiva della sua vita, ma si limita a subire le scelte e le decisioni delle persone che la circondano. E questa apatia e indifferenza non è altro che lo specchio di un’intera generazione, quella del dopoguerra. In realtà tutti i personaggi subiscono gli strascichi della guerra, che sentono ancora molto vicina, ma mentre quelli femminili tentano in ogni modo di reagire, quelli maschili appaiono totalmente bloccati e inermi.
La vicenda ha inizio quando la madre della protagonista la obbliga a recarsi al funerale di zia Stana, morta tragicamente soffocata da un osso di pollo, nello sperduto villaggio d’origine della famiglia. Qui incontriamo tutti gli altri bizzarri e grotteschi personaggi: uno stuolo di parenti per nulla rattristati dalla dipartita della zia. La loro è infatti solo una facciata utile a soddisfare le aspettative sociali. L’unica reale preoccupazione di tutti è quella di sbrigare in fretta il funerale e vendere il terreno di famiglia per ricavarne un bel gruzzoletto.
“Si è bevuto, mangiato, chiacchierato, riso, e perfino cantato. (…) Nonostante tutto, è stato il pranzo per la pace dell’anima del defunto più allegro che il villaggio e il circondario abbiano mai visto”.
Il contesto bosniaco in cui è immersa la vicenda è sottolineato dall’uso di una lingua viva e popolare, ricca di dialoghi e modi di dire tipici. Perciò, anche se la città e il villaggio restano anonimi, sentiamo che la storia può essere ambientata in un qualsiasi luogo della Bosnia ed Erzegovina.
L’intento dell’autrice è chiaramente quello di critica sociale, grazie all’utilizzo dello humour, talvolta nero, che permea l’intero racconto. I temi di questa critica sono tanti e variegati: lo stato corrotto, la religione praticata solo di facciata, l’avidità e l’egoismo, fino ad arrivare alla corruzione della polizia e alla totale inettitudine del sistema sanitario. In tutto questo marasma, la protagonista viene sballottata a destra e a manca, come una foglia al vento, senza che lei abbia la forza di opporvisi. Per lo meno, non fino al rocambolesco finale.
Come scrive la traduttrice, Marijana Puljić: “In pagine di apparente umorismo, ottenuto anche grazie al ricorso agli stereotipi, Perković ricostruisce il dramma di un paese, mettendo al centro della narrazione un evento sociale insolito e poco sfruttato dal punto di vista letterario, ovvero un funerale, che in Bosnia, secondo un detto popolare, viene organizzato più per i vivi che per i morti”.
Un libro davvero imperdibile per la sua originalità e i suoi temi per nulla scontati, narrati con una voce brillante e davvero coinvolgente che vi stupirà.
Potete trovarlo QUI.
L’Autrice
Nata a Banja Luka nel 1981, Slađana Nina Perković ha lavorato come corrispondente per i media nell’ex Jugoslavia e i suoi articoli sono apparsi anche su molti organi di stampa europei. Ha pubblicato la raccolta di racconti Kuhanje [Cucinare] e il romanzo Il funerale di zia Stana (titolo originale U jarku) – già uscito in Francia e in fase di traduzione in Bulgaria e Germania – insignito di una menzione speciale dal Premio dell’Unione Europea per la letteratura 2022.
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