NerdPool.it Libri IL VERO NOME DI ROSAMUND FISCHER di Simona Dolce: recensione

IL VERO NOME DI ROSAMUND FISCHER di Simona Dolce: recensione

Simona Dolce torna in libreria con Il vero nome di Rosamund Fischer e, grazie ad un accurato lavoro di ricerca, ci regala una storia memorabile con una protagonista inedita e controversa, in questo nuovo romanzo edito Mondadori.

Trama

Rosamund Fischer è nata in Germania, ma vive in Virginia ormai da molto tempo. All’età di diciassette anni, infatti, è fuggita dalle macerie della Germania postbellica e si è trasferita a Madrid, per diventare poi indossatrice per Cristóbal Balenciaga, il più grande couturier del mondo. Frequentando l’alta società, incontra l’uomo che sposerà e con cui si stabilirà negli Stati Uniti. Ma nel suo passato si cela un segreto inconfessabile: il suo vero nome è Inge Brigitte ed è la figlia di Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz.

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Il suo passato torna con prepotenza a bussare alla sua porta nelle spoglie di un giornalista, determinato a scoperchiare il suo vaso di Pandora. Com’è stato essere la figlia di uno degli uomini che più ha contribuito allo sterminio nei campi di concentramento? Cosa ha significato per una bambina di sette anni vivere e crescere accanto ad Auschwitz? E chi è veramente nel profondo: è Rosamund o è ancora la piccola Inge Brigitte?

«Tutto si concentrava in questa corsa a adornare il vuoto, pur di non doverlo guardare».

Recensione

Se c’è qualcosa che un lettore ama, è trovare un libro che tiene incollati fino all’ultima pagina. Uno di quelli che è impossibile chiudere e che si legge tutto d’un fiato. È questo il caso del nuovo romanzo di Simona Dolce, Il vero nome di Rosamund Fischer, in libreria dal 7 maggio per Mondadori.

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Nel 2013 uscì sul Washington Post un’intervista esclusiva a Inge Brigitte Höss, una delle figlie del comandante Rudolf Höss. Membro delle SS, fece carriera nella Germania nazista fino a diventare il comandante del più grande campo di sterminio: Auschwitz. Il giornalista Thomas Harding, discendente di Hanns Alexander, l’uomo che arrestò Rudolf Höss, trova Brigitte e riesce a convincerla a raccontare la sua storia. Quella di una bambina vissuta per anni ignorando l’orrore che si consumava a pochi metri dalla sua casa.

Simona Dolce legge questa intervista e decide di voler scrivere di Inge Brigitte e della sua vita. Il risultato, dopo un lungo e accurato lavoro di ricerca, è questo romanzo incredibile, che ci mostra un lato inedito e nuovo di uno dei periodi storici più cupi del secolo scorso.

Prima di quel momento, per tutta la vita, mi ero cullata nell’idea che nessuno mi avrebbe mai scoperta. E invece, all’improvviso, il passato mi cercava.”

Inge Brigitte ha tentato per tutta la sua vita di seppellire nel profondo la sua storia, la sua infanzia, nascondendola anche alla propria famiglia. Impossibile accettare che il suo amatissimo padre, così premuroso e amorevole a casa, fosse al contempo il responsabile della macchina dello sterminio di milioni di persone.  “Questo lavoro di scavo mi ha permesso di avvicinarmi sempre di più a Inge Brigitte e alla sua quotidianità” – scrive l’autrice – “E ho capito che era fatta di tante piccole gioie – la piscina, i giochi con i fratelli, i regali e le feste, le favole della buonanotte che Rudolf le leggeva prima di addormentarsi – e di molte grandi menzogne”.

La famiglia Höss ha vissuto dal 1940 al 1944 in una sontuosa villa, il cui magnifico giardino era separato da Auschwitz solo da un muro. Così vicini da poter vedere i blocchi e i crematori dalle finestre del primo piano. La madre di Brigitte, Hedwig Höss, descriveva la villa e il giardino come paradisiaci. E per loro, lo erano davvero. Un’oasi di pace, lontana dalla guerra e immersa nella natura, dove i bambini giocavano serenamente nei boschi e facevano il bagno nel fiume o nella grande piscina in giardino. Ignari dell’orrore che si consumava a pochi passi dal loro giardino incantato.

In casa avevano domestiche, cuoche, giardinieri e sarti, alcuni dei quali erano prigionieri del lager stesso. Ed è così che conosciamo Stanislaw Dubiel, il giardiniere-tuttofare che accontentava ogni capriccio di Hedwig. Era colui che riforniva la villa al Kanada, un deposito dove venivano ammassate le proprietà requisite agli internati del lager.

Hedwig decorava la villa con estrema cura, proprio con mobili e pezzi d’arte sequestrati ai prigionieri. Una vita di agi e lusso, vissuta a pochi passi dall’orrore e dalla morte. Una vita di banchetti sontuosi e feste, con i prigionieri che morivano di fame a pochi metri di distanza.

Ma per Inge Brigitte e i suoi fratelli, era tutto un gioco, tutto una favola. “Lei e i suoi fratelli non sapevano di vivere accanto al campo di concentramento, né che le domestiche, i giardinieri o gli operai fossero dei prigionieri” scrive Dolce, “Non potevano spiegarsi la cenere che giungeva in giardino nei giorni di vento o le urla che di tanto in tanto, di notte, Inge Brigitte sentiva dalla finestra della stanza da letto.”

Dopo la fuga nel 1945, la famiglia Höss si separa: Hedwig si nasconde coi figli in una fabbrica di zucchero abbandonata, mentre Rudolf si rifugia in una fattoria, fingendosi un bracciante. Ma la loro fuga non dura a lungo: Hedwig e i bambini vengono scoperti per primi e sarà proprio lei, per salvare il figlio maggiore, a consegnare suo marito.

Rudolof Höss fu la prima persona ad un livello così elevato ad ammettere l’entità del massacro ad Auschwitz. Fu consegnato agli americani, che lo fecero testimoniare a Norimberga. Poi fu consegnato ai polacchi, che lo perseguirono e poi lo impiccarono su una forca vicino al crematorio di Auschwitz.

Ma Inge Brigitte era solo una bambina a quel tempo. Cresciuta nell’agio e con un’impronta fortemente patriarcale che voleva le donne – come sua madre Hedwig – limitate al ruolo di madri (almeno quattro figli per famiglia erano assolutamente necessari, secondo l’ideologia nazista). Ma a differenza di sua madre, Inge Brigitte non ha avuto scelta, costretta a subire l’ambiguità degli aduti, così protettivi nel privato, quanto spietati nel pubblico.

E questa contraddizione emerge con forza lungo tutto il romanzo: Inge Brigitte ammette, seppur con reticenza, di riconoscere le colpe di Rudolf, ma allo stesso tempo non riesce proprio a conciliare il ricordo del padre amorevole con quella del comandante spietato.

Ma è proprio questo l’obiettivo di Simona Dolce, provare a rispondere a delle domande che sono in fin dei conti universali: “Chi siamo, e come diventiamo ciò che siamo? Che significato hanno colpevolezza e innocenza quando sono incarnate da qualcuno che amiamo?“.

Questo romanzo straordinario potete trovarlo QUI.

Concludiamo con alcuni link per approfondire la storia di Inge Brigitte e della sua famiglia:

L’Autrice

Simona Dolce è nata a Palermo il primo giugno 1984. Vive a Roma da molti anni. Ha scritto Madonne nere (Nutrimenti, 2008) e vari romanzi per ragazzi, tra cui La mia vita all’ombra del mare (Raffaello ragazzi, 2017, premio Elsa Morante) e La battaglia delle bambine (Mondadori, 2021). Lavora anche come sceneggiatrice e fa parte della redazione della rivista letteraria “Nuovi Argomenti”.


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