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LA PIÙ BRAVA di Carolina Bandinelli: recensione

La più brava di Carolina Bandinelli edito Nutrimenti, è un romanzo psicologico e di formazione. Attraverso cui Emma Sestieri, la nostra protagonista, ci accompagna nella narrazione di episodi intimi e drammatici, che l’hanno trasformata. Un viaggio interiore e psicologico in cui il flusso di coscienza, flashback e monologhi interiori porteranno Emma, a porsi molte domande e interrogativi sulla propria vita, ai quali, non sarà facile trovare una risposta.

Trama

Emma Sestieri ha 36 anni, di origini italiane, vive da expat a Londra ormai da dodici anni. Una mattina si sveglia e acquisisce la consapevolezza di essere ormai adulta. Ha un lavoro stabile in una buona Università, un compagno stabile e sta per comprare casa. Ora pensieri fissi sono l’arredamento di casa, le prime rughe sul viso. Quello che per anni ha chiamato futuro adesso è presente.

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Ma come ci è arrivata fin qui? Attorno a questa domanda ruotano molte esperienze che hanno segnato la sua storia: dalla famiglia al rapporto con gli uomini e il sesso, le amiche e la difficile questione della maternità. Emma è consapevole di essere cambiata, ma la domanda continua ad essere, “come?”. Con il passare delle ore, dubbi, disfatte e cose accadute mai rivelate vengono a galla nella testa di Emma; acquisendo così la consapevolezza che tutto questo l’ha irrimediabilmente, cambiata per sempre.

” È diventata adulta senza accorgersene e non sa distinguere quel che di sé stessa è espressione di un qualche nucleo sostanziale, la sua matrice cresciuta nel tempo, da ciò che non è altro che il risultato del condizionamento, della ‘condizionatezza’ “.

Recensione

In questo romanzo accompagneremo Emma Sestieri in una qualsiasi giornata della sua vita. La nostra protagonista deciderà di organizzare una cena a casa sua, o meglio, di ospitare una rimpatriata con le sue amiche: Violante, Veronica e Matilde. Durante questa giornata la seguiremo dal mattino, alla sera; fino al momento della fatidica cena, saremo confidenti e spettatori di ogni suo gesto e pensiero.

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Emma si interrogherà su molti episodi della sua vita, mettendosi in discussione e chiedendosi – come sono arrivata fin qui? – il futuro che sembrava una cosa lontana è diventato presente. Attraverso ricordi e flashback della protagonista affronteremo con lei e dal suo punto di vista tematiche forti ed importanti, quali: Femminismo e patriarcato; conflitto interiore sul voler essere madre o non esserlo; continuo confronto e paragone della propria vita, con quella degli altri; non sentirsi mai a casa in nessun luogo; paura e interrogativi sulla morte; ansia e attacchi di panico; abusi sessuali subiti in età infantile; materialismo e ricchezza; capitalismo e consumismo; rapporto madre-figlia; rapporto padre-figlia; la pressione del ticchettio dell’orologio biologico che con le lancette scorre velocemente sul quadrante; amore per gli animali, in particolare la sua gatta “Cucci”; il desiderio estenuante del talento assoluto; il male del non sentirsi mai abbastanza, mai abbastanza brava; senso di inadeguatezza; essere un expat; la misoginia interiorizzata e l’amicizia.

Continuando ad analizzare il testo ci accorgeremo che l’autrice tende a trattare attraverso Emma e la sua storia, con particolare attenzione, alcune delle tematiche precedentemente citate.

LA QUESTIONE DELLA MATERNITÀ E LA PRESSIONE DEL TEMPO CHE SCORRE VELOCEMENTE

L’autrice offre una riflessione profonda sulla pressione sociale e personale che molte donne sentono riguardo alla maternità, soprattutto in relazione al tempo che scorre. La Bandinelli esplora come la società imponga una visione idealizzata e performativa della maternità, spesso legata al concetto di “realizzazione femminile” entro una finestra temporale definita, creando un senso di urgenza e inadeguatezza.

“Emma ha trentasei anni e proprio ora realizza di aver coltivato in modo stupido il pensiero fantastico di essere eterna, o almeno esente dagli effetti del tempo sul corpo. E invece no”.

“Vuole o non vuole dei figli. Si/No. Se dice di sì non c’è bisogno di spiegare, se dice di no invece occorre essere specifiche”.

“Un’amica una volta le aveva spiegato che nel sacrificio si riconosce l’amore stesso. Emma non sente il richiamo del sacrificio, forse perché non l’hanno mai mandata a catechismo. Le interessa essere felice, visitare il Cile, magari in macchina, ecco: un road trip in Cile, e poi scrivere poesie, andare a fare del clubbing, fare l’amore nel pomeriggio. Forse è un prodotto dell’individualismo capitalista”.

Questa pressione del tempo sembra essere quasi una “scadenza” per le donne, e non si tratta solo del loro orologio biologico, ma anche di aspettative sociali che le spingono a dover conciliare la maternità con il successo professionale e personale. Il rischio è di far vivere alle donne l’esperienza della maternità come un dovere piuttosto che una scelta consapevole e libera.

“Possibile che la scelta sia tra il sacrificarsi al patriarcato e l’immolarsi al capitalismo? Cosa dicono le femministe? Ma le femministe dicono tutto e niente. Alcune dicono: gambe chiuse e porti aperti. Altre dicono che va bene programmare il cesareo in una clinica privata, come Beyoncé. Altre dicono che il parto medicalizzato è espressione del dominio maschile e che sarebbe meglio partorire in casa e mangiarsi la placenta”.

Il messaggio chiave sembra essere una critica a questa cultura della performance, esortando a riscoprire il valore della maternità come scelta autentica, non come un traguardo imposto da norme esterne. Siamo tutti intrappolati dal tempo, ma l’urgenza imposta alle donne in questo ambito appare particolarmente feroce.

IL NON SENTIRSI MAI A CASA IN NESSUN LUOGO E IL DISAGIO NEL VIVERE COME EXPAT

In La più brava emerge in modo potente il tema del sentirsi sempre fuori posto, specialmente per chi vive l’esperienza dell’essere expat. L’idea di non sentirsi mai completamente a casa, né nel paese di origine né in quello di adozione, riflette un disagio esistenziale che molte persone provano quando si muovono tra contesti culturali diversi. Questo senso di spaesamento viene spesso amplificato dalle aspettative sociali e personali di “successo” che si legano alla vita all’estero, facendo percepire la distanza culturale e geografica non solo come un fatto pratico, ma anche emotivo.

“Prima di Achille’s Road casa era sempre stata una direzione incerta, un luogo occupato da altri; mai un indirizzo preciso da dare al tassista che ti viene a prendere alla stazione”.

“Appena si sentiva poggiare sul letto o sul divano, cominciava a gridare. Voglio andare a casa, diceva. E dicendolo piangeva. Ma sei a casa, le veniva risposto. – Lo so, ma portatemi a casa, voglio andare a casa -“.

Nel libro, Bandinelli riesce a mettere in luce questo sentimento di alienazione: non è solo il fatto di vivere in un altro paese che genera questo disagio, ma anche l’impossibilità di sentirsi pienamente parte di un luogo. Questo senso di estraneità porta alla ricerca continua di un equilibrio tra il desiderio di stabilità e la realtà di una vita precaria e frammentata.

“Che Achille’s Road fosse diventata ‘casa’ se ne era resa conto quasi all’improvviso. Stava tornando dalle vacanze estive del 2012 e arrivata di fronte alla porta d’ingresso, una porta piccola d’alluminio bianco con il vetro smerigliato, aveva notato che erano sbocciate delle rose, spontaneamente, proprio nel cortile in cui il vicinato gettava scatolette gialle e rosse di cartone con resti di pollo fritto. Emma, con le valigie in mano, quella grande e il trolley piccolo, aveva capito di essere tornata a casa e si era sentita felice”.

“Tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati o di chi li ha costruiti rubando?”.

“Senza farmacia e lingua madre, orfana all’estero”.

Il concetto di “casa” diventa così una metafora: non è solo uno spazio fisico, ma un luogo interiore di appartenenza e identità che spesso sfugge. Il vivere come expat porta con sé una tensione tra il desiderio di trovare una nuova casa e il peso dell’assenza di radici profonde. Questo tema universale fa riflettere su quanto sia complesso, in un mondo globalizzato, sentirsi davvero parte di un luogo senza rinunciare a pezzi della propria identità.

GLI ABUSI SESSUALI IN ETÀ INFANTILE

La questione degli abusi sessuali infantili, emerge come una ferita profonda e irrisolta, che getta un’ombra sullo sviluppo psicologico e personale delle vittime. Gli abusi in età infantile sono tra i crimini più devastanti, poiché colpiscono bambini che non hanno ancora sviluppato gli strumenti emotivi o cognitivi per comprendere e processare il trauma. Questi atti non solo distruggono l’innocenza, ma frammentano l’identità, creando cicatrici che spesso accompagnano la vittima per tutta la vita.

“Erano passati più di cinque anni dall’accaduto. Quando aveva capito cos’era successo e cosa non era ancora successo ma sarebbe potuto succedere. Aveva acquisito delle parole e dei pezzi di frase che poteva dire. Erano parole di altri, certo, per lo più prese in prestito, ma ne riconosceva la precisione. Per esempio aveva imparato a dire ‘pedofilo’, anche se non lo lo diceva mai. Non lo diceva perché il suono di quelle sillabe le faceva schifo. Quella definizione tecnica la faceva sentire come un quadrato di testo incollato male, con il Vinavil, su dei manuali di psichiatria o di giurisprudenza. Eppure era una definizione utile, questo bisognava riconoscerlo: diceva tutto, ma senza dire nulla né di lei né di —“.

Il modo in cui l’autrice affronta questo tema, anche se inserito in un contesto più ampio di aspettative sociali e personali, ci ricorda quanto sia importante non solo riconoscere e condannare tali atti, ma anche dare voce al dolore e alle conseguenze psicologiche che ne derivano. Spesso, le vittime portano dentro di sé un senso di vergogna, colpa e confusione che le isola ulteriormente. Nel romanzo, l’orrore dell’abuso infantile non è solo un atto di violenza fisica, ma una violazione dell’intimità e dell’innocenza, che lascia dietro di sé una profonda sensazione di tradimento. Il tema, trattato con delicatezza, esorta a riflettere su quanto sia essenziale rompere il silenzio attorno agli abusi e creare spazi sicuri per la guarigione, affinché le vittime possano riconquistare la propria voce e dignità.

LA PAURA E GLI INTERROGATIVI SULLA MORTE

Il tema della morte viene affrontato con un senso di angoscia esistenziale che riflette una paura profonda e universale. La scrittrice sembra porre la morte come un punto centrale di riflessione su ciò che significa vivere, evidenziando come la consapevolezza della nostra finitezza temporale possa generare interrogativi inquietanti. La paura della morte non riguarda solo l’evento in sé, ma anche ciò che essa rappresenta: la fine delle possibilità, l’incertezza del “dopo” e il confronto con la propria mortalità.

“Non era possibile vivere così, ci doveva essere un difetto di fabbricazione del cosmo, come facevano tutti a vivere potendo sempre morire?”.

In questo contesto, la morte diventa una lente attraverso cui guardare le aspettative, i successi e i fallimenti della vita. Come affrontiamo la vita sapendo che essa è destinata a finire? Questo interrogativo risuona nel libro, toccando corde emotive profonde. Bandinelli non fornisce risposte definitive, ma invita a riflettere su come il pensiero della morte influisca sulle nostre scelte quotidiane e sul nostro desiderio di lasciare un segno.

” – In un certo senso è pazzesco essere tutti vivi allo stesso momento, e pensare che poi saranno vivi altri di cui noi non sappiamo niente. Tutti quelli sul Thameslink direzione Luton moriranno, ma adesso sono vivi insieme, in treno, all’altezza di St. Pancras -. Emma deve già scendere anche se non riesce ancora a capire come si fa a vivere sapendo di morire”.

La paura della morte, per molti, è anche la paura di non aver vissuto pienamente o di non aver trovato il proprio posto nel mondo. Nel libro, questa paura sembra intrecciarsi con la pressione sociale a essere sempre “bravi” e all’altezza delle aspettative, lasciando intravedere la possibilità che la vita, vissuta sotto il peso di queste ansie, rischi di perdere la sua autenticità.

IL PATRIARCATO, IL FEMMINISMO E LA MISOGINIA

Carolina Bandinelli affronta il patriarcato, il femminismo e la misoginia con un’acuta consapevolezza delle dinamiche di potere che plasmano l’esperienza delle donne. Il patriarcato emerge nel libro come una struttura invisibile ma onnipresente, che condiziona aspettative, relazioni e scelte di vita. La Bandinelli riflette su come come le donne siano spesso spinte a conformarsi a ideali di “perfezione” e “bravura”, intesi come successi personali, professionali e familiari, all’interno di un sistema che continua a marginalizzare e controllare la loro autonomia.

“Non le era capitato di pensare che nei circoli degli addetti ai lavori potesse essere definita una ‘puttana’ o una ‘sciupafamiglie’. Non aveva le categorie per interpretare la realtà in questo modo, non sapeva usare la parola ‘patriarcato’ e ‘misoginia interiorizzata’ “.

Il femminismo nel libro appare come un’ arma necessaria contro queste pressioni, ma anche un movimento che richiede un’auto-riflessione critica. L’autrice evidenzia la complessità del femminismo contemporaneo, che non può limitarsi a un discorso di rivendicazioni, ma deve anche considerare come molte donne interiorizzino norme patriarcali, spesso perpetuando dinamiche di competizione o di auto-svalutazione: il libro esprime una visione del femminismo come uno strumento di liberazione non solo esterna, ma anche interiore, per liberarsi dalle trappole della “bravura” e del “dover essere”. Infine la misoginia appare non solo come odio verso le donne da parte degli uomini, ma anche come un atteggiamento radicato nella società e nelle stesse donne, che talvolta giudicano se stesse e le altre secondo standard patriarcali. Questo odio può essere sottile, interiorizzato, e manifestarsi in modi che erodono la solidarietà femminile e rafforzano le gerarchie di genere.

“Saluta Izzy, kelly e Megan. Vorrebbe abbracciarle, rimanere con loro, osservarle mentre si preparano per la notte, con minigonne glitterate e vodka alla pesca. Vorrebbe rassicurarle, dire loro che andrà tutto bene e che non hanno bisogno della validazione dei maschi ubriachi e con problemi erettili”.

l’autrice ci invita, con grande lucidità, a riflettere su queste dinamiche e a riconoscere quanto sia importante decostruire logiche patriarcali e combattere la misoginia, non solo per cambiare le strutture esterne, ma anche per riscrivere le narrazioni personali di libertà e autenticità.

L’AMICIZIA

Il tema dell’amicizia emerge come uno spazio di complessità, ma anche di potenziale guarigione e crescita personale. Carolina Bandinelli non presenta l’amicizia come un legame idealizzato, privo di conflitti, ma piuttosto come una relazione in cui si riflettono e si riscontrano le stesse dinamiche di pressione e competizione che caratterizzano la vita sociale e personale delle protagoniste. Nel libro, l’amicizia tra donne è spesso attraversata dalle aspettative sociali di “bravura” e perfezione, che possono creare tensioni e incomprensioni. La competizione, a volte sottile, altre volte più esplicita, si insinua nelle relazioni, minando la possibilità di un’autentica solidarietà. Questo rende l’amicizia non solo uno spazio di affetto, ma anche un terreno dove si giocano le ansie e le insicurezze legate al patriarcato e alla pressione di essere sempre all’altezza.

“Kelly e Megan dicono che il sesso non è male ma che la parte migliore è il prima, prima che accada, vestirsi e truccarsi con le amiche nei bagni comuni dello studentato, e dopo che è accaduto, raccontarlo alle ragazze davanti a una scodella di ramen contro l’hangover. Vuoi vedere che il punto poi è parlarne con le amiche? Che in fondo gli uomini sono solo apparentemente centrali, pensa Emma, e il pensiero la rallegra. Subito dopo però pensa pensa anche che la situazione si potrebbe interpretare in modo opposto, cioè che per parlare con le amiche c’è bisogno di parlare di uomini. Emma ha passato ore a parlare di uomini: con Violante, Veronica, Rachele, Matilde, con tutte le sue amiche, da sempre. E l’esserne deluse (quasi) sempre diventava il collante della relazione d’amicizia. Cosa sarebbe successo se avessero parlato d’altro? Se avessero parlato di letteratura, di cinema, di politica, di cosa volevano fare da grandi?”.

Tuttavia, la Bandinelli suggerisce anche che, nonostante queste difficoltà, l’amicizia può essere un luogo di resistenza e di supporto reciproco. Le relazioni amicali, soprattutto tra donne, diventano un’opportunità per rompere con le aspettative esterne e trovare spazi di comprensione e complicità. Quando l’amicizia riesce a superare la comprensione e la rivalità, emerge come un rifugio prezioso, dove si può essere vulnerabili e autentici, senza bisogno di conformarsi agli standard sociali. In questo senso, l’autrice sembra proporre un’idea di amicizia come una relazione che, pur attraversata da sfide, ha il potenziale per diventare un antidoto alle pressioni esterne, un luogo di connessione emotiva e di reciproca scoperta.

Carolina Bandinelli utilizza uno stile narrativo fluido e brillante, ricco di riflessioni che non scadono mai nella banalità. Il suo sguardo critico verso le dinamiche patriarcali e sociali emerge con forza, rendendo il romanzo un opera attuale e rilevante per la generazione contemporanea. Il linguaggio, seppur semplice, è ricco di sfumature, e le tematiche trattate – dal desiderio di realizzazione alla difficoltà di affermarsi in un mondo che ci impone di essere sempre perfetti – offrono molti spunti di riflessione.

In definitiva, La più brava è un romanzo che parla non solo alle donne, ma anche a tutti coloro che si confrontano con le aspettative della società e con il senso di incompiutezza personale. È un’opera che mette in luce la complessità della vita adulta, fatta di conquiste e insicurezze, e che invita a riflettere sulla libertà e sui limiti che ci autoimponiamo.

Potete trovare questo intenso e riflessivo libro, QUI.

L’Autrice

Carolina Bandinelli è nata a Firenze e vive a Londra. Scrive testi di saggistica e narrativa, sociologia e letteratura. Lavora come Associate Professor in Media and Creative Industries alla University of Warwick. È autrice dei saggi Social Entrepreneurship and Neoliberalism Making Money While Doing Good (Rowman & Littlefield International), Fashion as Creative Economy (Polity), Il Miglior Lavoro del Mondo (Doppiozero) e la più brava (Nutrimenti), oltre che di numerosi articoli su riviste culturali e accademiche. Da più di dieci anni contribuisce al dibattito culturale, in Italia e all’estero, con interventi su lavoro creativo, desiderio e media digitali. La sua ricerca è apparsa su testate internazionali tra cui Bbc, New York Times, El País. Nel 2024 ha pubblicato Le postromantiche: sui nuovi modi di amare (Laterza), un saggio personale sulla cultura dell’amore e del sesso.


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IN BREVE

La più brava è un romanzo che esplora le pressioni sociali sulle donne attraverso la storia di una protagonista in cerca di perfezione, affrontando temi come la maternità, l'amicizia e il patriarcato.
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