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Starfield – recensione dell’epopea spaziale di Bethesda

Finalmente il progetto più ambizioso del team è arrivato, saranno riusciti Todd Howard e soci a portarci davvero fra le stelle?

Uno degli elementi che più contraddistingue l’essere umano dagli altri animali è la curiosità, quell’innata voglia di conoscere, esplorare, giungere in luoghi sconosciuti per il gusto della scoperta. Ovviamente l’ultima frontiera dell’esplorazione è quella spaziale, campo nel quale se nel mondo reale siamo ancora agli albori beh, in quello della fantasia abbiamo ormai una ultradecennale esperienza, tra film, serie TV, fumetti e, ovviamente, videogiochi. Devono averci pensato a lungo Todd Howard e i suoi ragazzi in quel di Bethesda, se consideriamo che le prime idee e concept di Starfield risalgono addirittura a 25 anni fa, e dopo averci fatto esplorare reami fantasy straordinari e lande piagate da apocalissi nucleari ecco che il team americano ci porta finalmente tra le stelle.

Di questo titolo, in sviluppo da ormai 8 lunghi anni, se ne è parlato tanto e ancora tanto si parlerà nel bene e nel male, ma oggi siamo di fronte all’opera completa, finalmente rilasciata al pubblico nella sua interezza. Il gioco in assoluto più grande e ambizioso del team è nelle nostre mani ormai da un po’, abbiamo viaggiato tra gli innumerevoli mondi presenti in quest’epopea, ed ecco le nostre impressioni nella nostra recensione, rigorosamente made in NerdPool!

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Dalle stalle… ehm miniere, alle stelle!

Cominciamo subito col mettere in chiaro una questione: Starfield non è No Man’s Sky. I due titoli, troppo spesso accomunati per via delle evidenti somiglianze tematiche, hanno in realtà molto ma molto poco in comune l’uno con l’altro. A dispetto dell’imponente campagna marketing messa in atto da Bethesda e Microsoft, il nuovo titolo della casa americana è molto più vicino alle sue antiche opere di riferimento, ovvero The Elder Scrolls e Fallout. La pura e semplice esplorazione dei pianeti, sebbene sempre presente e accessibile in ogni momento, ha in realtà un ruolo molto marginale ai fini di gameplay rispetto a quanto promesso e mostrato, ma resta essenziale per dare il senso di essere davvero “così piccoli” nella vastità dell’universo.

Starfield

Il titolo è quindi definibile come il “classico” RPG di Bethesda, nel bene e nel male, e appare sin da subito chiaro nel suo incipit. Come da tradizione, il gioco inizia ancor prima di permetterci di personalizzare il nostro alter-ego, buttandoci subito nell’azione. Scopriamo quindi che è l’anno 2330 e noi siamo il nuovo acquisto di una società che si occupa di scavi minerari nei più disparati pianeti della galassia, e stiamo per iniziare il nostro primo incarico in una di queste miniere, seguiti da due supervisori. Questa semplice introduzione serve ad insegnarci i comandi di base, e ci porterà all’evento scatenante di tutta la vicenda raccontata in Starfield: in fondo alla miniera verremo infatti a contatto con un particolare minerale, il quale una volta toccato ci farà avere delle visioni molto particolari, con tanto di musica, uno shock tale da farci perdere i sensi. E da lì cambierà tutto.

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Benvenuti in Constellation

Al nostro risveglio ci ritroveremo nell’infermeria della nostra installazione, con i nostri due supervisori pronti a sincerarci delle nostre condizioni di salute. E saranno proprio le domande dei nostri colleghi sulle nostre generalità il pretesto per la creazione del nostro personaggio: si aprirà infatti l’editor per la creazione del nostro alter-ego, probabilmente il migliore mai visto finora in un’opera Bethesda, a testimonianza dell’ambizione dello studio con il progetto Starfield. Da qui potremo scegliere il nostro aspetto, potendo modificare pressoché ogni dettaglio facciale e anche la corporatura, pettinatura, colore di occhi e capelli e così via. Interessante poi la scelta del background, ovvero una selezione tra diversi “passati” del nostro protagonista, ovvero cosa faceva prima di diventare (per poco) un semplice minatore, questa scelta oltre a dare profondità alla nostra storia personale offrirà piccoli bonus a determinate caratteristiche e abilità.

Starfield

Abbiamo infine i tratti, ovvero dovremo scegliere tre “condizioni” particolari da una lista apposita, che andranno a modificare alcuni aspetti dell’esperienza: potremmo decidere di avere già una casa piuttosto lussuosa da qualche parte, con la consapevolezza di doverne pagare il mutuo, oppure è possibile avere dei genitori da qualche parte, che potremo andare a trovare e che ci chiameranno periodicamente per chiederci un piccolo aiuto economico. Ci sono poi tratti legati alla vicinanza a questa o a quella fazione presente nel mondo di gioco, o legate a meccaniche di lore che inevitabilmente alla nostra prima run non possiamo conoscere, quindi dovremo affidarci all’istinto se li vorremo scegliere, consci che una volta imparata la lore del mondo sapremo scegliere meglio i tratti per un eventuale nuovo personaggio per una run successiva.

Creato il nostro personaggio, verremo informati che l’artefatto da noi trovato, quello che ci ha provocato le visioni e il conseguente shock, verrà venduto ad un compratore che è in arrivo di lì a poco, e così faremo la conoscenza del primo personaggio chiave del gioco, Barrett, il cui arrivo ci permetterà anche di prendere parte alla nostra prima sparatoria, in quanto egli è braccato da un manipolo di pirati intenti a derubarlo della sua nave. Debellati i pirati scopriremo che anche Barrett è venuto a contatto con uno di quei manufatti alieni, e anch’egli ha avuto le nostre stesse visioni, cosa che lo convincerà a restare sul piccolo pianeta per studiare meglio la situazione, e ad affidarci la sua nave per farci unire a Constellation, un gruppo di esploratori spaziali dediti a risolvere misteri come questo, di cui lui stesso fa parte. Con la guida di Vasco, il robot assistente di Barrett che ci guiderà fino alla sede di Constellation su New Atlantis, la nostra avventura ha finalmente inizio.

Un universo di possibilità

Questo lungo prologo è necessario per farci prendere contatto subito ma gradualmente con le meccaniche di Starfield, che possono risultare familiari a chi conosce il lavoro della software house, ma possono risultare stranianti per chi si approcciasse per la prima volta ad un’opera di Bethesda. Il gioco è letteralmente pieno di cose da fare, luoghi d’interesse da scoprire, quest su quest da affrontare e così via. Già dalla nostra partenza avremo a che fare con il nostro primo scontro spaziale, legato sempre ai pirati che inseguivano Barrett, il nostro primo “dungeon” ed un primo assaggio del nuovo sistema di dialogo e persuasione, non più solo parametrico come in passato ma più ragionato, una delle interessanti novità introdotte dal gioco.

Starfield

Il gioco ci permetterà, una volta superata la fase “tutorial” iniziale, di fare letteralmente quello che vogliamo, dal seguire la main quest al dedicarci a quest secondarie o incarichi casuali che ci verranno continuamente affidati anche solo camminando in giro per le città e i vari pianeti, potremo unirci alle fazioni presenti nel mondo di gioco (cosa assolutamente opzionale e slegata dalla main quest) o dedicarci ad attività collaterali come la pirateria, la costruzione di avamposti sui pianeti, l’acquisto di case e relativo arredamento delle stesse, modificare la propria nave o acquistarne una nuova e così via.

Potremo anche esplorare semplicemente pianeti sconosciuti, ma qui ritorna il discorso iniziale, ovvero che l’esplorazione non è un elemento cardine del gameplay, ma solo uno strumento funzionale a farci percepire quanto siamo piccoli in questo vasto universo. I pianeti esplorabili, centinaia e centinaia generati proceduralmente, sono per lo più vuoti ammassi di rocce e vegetazione, raramente abitati da fauna più o meno ostile o da qualche sperduto colono che magari ci affiderà un incarico da portare a termine. Si possono trovare anche avamposti o fabbriche abbandonate da esplorare in cerca di loot interessante, ma una volta imparate le strutture ci si renderà conto che vengono sempre più o meno ripetute e la voglia di esplorare per l’ennesima volta la stessa fabbrica identica potrebbe venir meno a lungo andare.

Un RPG mastodontico

Come detto in precedenza Starfield è l’opera più grande e ambiziosa di Bethesda (con buona pace della mappa assurdamente enorme del leggendario Daggerfall), e nonostante la quest principale (molto ben scritta, si nota il lavoro di miglioramento delle sceneggiature) si possa completare in circa 20-25 ore il fulcro del gioco è vivere una vera e propria “seconda vita” all’interno del gioco. Anche molte quest secondarie brillano per scrittura, soprattutto quelle dei companion, con alcuni dei quali è possibile anche intraprendere una relazione sentimentale, ed in generale il livello qualitativo della narrazione si mantiene su alti livelli, con una lore ben radicata e dettagliata da vivere anche solo esplorando gli ambienti di gioco.

Starfield

Un ottimo lavoro è stato fatto ad esempio per differenziare le tre grandi città principali, New Atlantis, Akila e Neon. La prima adotta uno stile molto sci-fi classico, retrofuturistico, un po’ alla Star Trek per fare un paragone. Akila City invece sembra quasi uscita dal vecchio West, con suggestioni tipiche come le strade sabbiose, uno stile di abbigliamento che ricorda quello di cowboy e mandriani, e in generale un’atmosfera “da frontiera”. Neon invece è la rappresentazione del classico scenario cyberpunk, tutta luci e impianti cibernetici in un contesto urbano esasperato.

Il risultato di tutti questi sforzi è un RPG ricco di stimoli, di cose da fare e tanta, tanta libertà in puro stile Bethesda. Si può vivere l’avventura totalmente in prima persona, storicamente la modalità visiva di riferimento, ma è possibile in ogni momento passare alla terza persona e giocare l’intera avventura così per chi non ama la visuale in soggettiva. La crescita del personaggio richiama da vicino quella vista negli ultimi Fallout, con alberi delle abilità in cui spendere i punti relativi ottenuti ad ogni salita di livello: ogni albero ha diversi “strati” di abilità da sbloccare apprendendo prima un tot di abilità dallo strato precedente. Non esiste un vero level cap e quindi è possibile se ne avete voglia continuare ad accumulare esperienza per perfezionare sempre di più la vostra build.

Tutto perfetto quindi? Beh, non proprio

Dopo aver parlato delle innumerevoli caratteristiche e dei punti di forza di Starfield, eccoci qui a parlare anche di quelli che sono i difetti dell’opera, e ce ne sono: il gioco è sicuramente un interessante RPG pieno zeppo di cose da fare e spunti interessanti, ma ci sono purtroppo alcune criticità, spesso legate ad antichi difetti che lo studio si porta dietro ormai di produzione in produzione.

Partiamo da quello che non è un vero difetto della produzione, bensì un “errore” di marketing più o meno grave commesso a nostro avviso da Microsoft e Bethesda: presentare il gioco in pompa magna come un’esperienza esplorativa in senso stretto non è stato del tutto onesto, accomunarlo a produzioni come No Man’s Sky o Star Citizen agli occhi del pubblico, quando di fatto il gioco come detto a più riprese utilizza lo strumento dell’esplorazione fine a sé stessa solo come elemento di contorno del gameplay vero e proprio, che resta un vero RPG in tutto e per tutto, un RPG di Bethesda, che ricalca in pieno tutte le caratteristiche dei suoi “predecessori”.

Sul piano dell’esperienza ruolistica nel dettaglio, duole segnalare come l’intelligenza artificiale dei nemici sia rimasta davvero indietro di parecchio, ai livelli addirittura di Fallout 3 e 4, che sono usciti rispettivamente nel 2008 e nel 2015, e nel 2023 sarebbe stato lecito aspettarsi routine comportamentali un pochino più sofisticate ed una maggiore consapevolezza dell’IA avversaria nei nostri confronti e in quelli dell’ambiente che li circonda. Passando ad altri difetti di natura prettamente tecnica non possiamo non parlare dei caricamenti: l’ormai vetusto Creation Engine, qui arrivato alla sua versione numero 2, porta con sé tutti i limiti che in precedenti titoli potevano essere più o meno arginati, ma in Starfield pesano come macigni in virtù della sua natura improntata sui viaggi stellari fra pianeti.

Non aspettatevi la possibilità di viaggiare “seamless” come nel sopracitato No Man’s Sky, in quanto anche semplici azioni come salire sulla nave, decollare alla volta dell’orbita del pianeta su cui ci troviamo, passare all’orbita del pianeta successivo e infine atterrare su di esso richiedono ognuna un caricamento a parte, rendendo l’azione davvero frammentata e alla lunga tediosa. Se ci aggiungiamo che navigare nella mappa stellare tra un sistema e l’altro richiede di aprire diversi menu e sottomenu davvero poco intuitivi finché non si comincia a capirne il funzionamento capirete anche voi che viaggiare non è propriamente confortevole e semplice. Se parliamo dei menu è poi impossibile non citare quello dedicato alle modifiche della propria nave, che di base funziona anche abbastanza bene, se non fosse per l’estrema scomodità del movimento della telecamera, un vero incubo da padroneggiare che speriamo venga migliorato in futuro con qualche aggiornamento.

Potremmo infine citare come difetto, qualora lo si considerasse tale, la regia delle conversazioni con i vari NPC del gioco, la quale mantiene la ormai solita telecamera frontale puntata sul viso del nostro interlocutore, cosa che ad esempio chi vi scrive trova un tratto distintivo del modo di fare giochi di ruolo di Bethesda, ma comprendiamo che molta gente possa aspettarsi un tipo di regia più coinvolgente per certi frangenti, quindi lo segnaliamo per dovere di cronaca.

Un titolo potenzialmente infinito

Partiamo in questa fase finale della nostra analisi di Starfield da quello che è il comparto tecnico della produzione. Sebbene abbiamo tirato in precedenza in ballo il motore grafico, il Creation Engine 2, fra i difetti del gioco è sbagliato ritenerlo tecnicamente fatto male, anzi. Pur avendo i limiti evidenziati nei paragrafi precedenti, è innegabile che il team abbia fatto enormi passi avanti nell’affinamento del suo motore di gioco. Ciò che colpisce subito è la cura rivolta al sistema di illuminazione, davvero notevole considerando che non fa uso del ray tracing, e anche la gestione delle superfici e dei materiali merita un plauso, soprattutto nella resa complessiva degli ambienti chiusi. Anche la qualità dei volti è decisamente buona, con discrete animazioni facciali ed una buona rappresentazione delle varie espressioni (seppur ancora lontana dai sorprendenti risultati ottenuti ad esempio in Baldur’s Gate 3).

Menzione speciale per il comparto audio, con una colonna sonora solenne ed epica nei momenti giusti, davvero d’effetto, e un doppiaggio inglese che sfiora l’eccellenza assoluta (stavolta si è optato per non offrire un doppiaggio italiano a fronte della mole davvero sconfinata di linee di dialogo, scelta comprensibile ma che lascia comunque l’amaro in bocca, ma non preoccupatevi, la traduzione in italiano di testi e sottotitoli è pressoché perfetta), uniti ad effetti sonori ben riusciti e sempre apprezzabili, dai suoni delle navi spaziali a quelle appaganti delle diverse armi da fuoco.

La versione da noi testata è quella per Xbox Series X (il gioco in quanto esclusiva Xbox, è disponibile solo per le console verdecrociate dell’attuale generazione e per PC), la quale mantiene quasi sempre stabilmente l’obiettivo prefissato dei 30fps, con una risoluzione a 1440p upscalati a 4K. Duole la mancanza di una modalità prestazioni, ma la pesantezza del motore grafico e la mole sconfinata di contenuti e spesso dettagli a schermo ha richiesto questo sacrificio, il quale rende comunque il gioco più che giocabile ed appagante. Da segnalare la presenza di qualche bug sì, ma davvero in quantità decisamente limitata data la mole di contenuti presente nel gioco, questa volta Bethesda ha svolto un eccezionale lavoro di polishing e rifinitura della sua opera.

La longevità è pressoché illimitata, tutto sta in quanto vi appassiona vivere in questo mondo molto dettagliato e ben costruito, per conoscerne tutti i segreti e le sfide che si celano al suo interno. Da segnalare una difficoltà generalmente tarata verso il basso, quindi vi consigliamo di alzare un pochino il livello di difficoltà (modificabile in ogni momento) se cercate una sfida più stimolante. Vi ricordiamo infine che una volta completata la campagna principale potrete sì continuare a giocare le innumerevoli attività e quest secondarie presenti, ma avrete anche a disposizione una modalità new game+, dove potrete ricominciare da zero il gioco mantenendo i progressi del vostro personaggio, ottenendo diversi bonus relativi ad oggetti e a astronavi, e ce ne saranno sempre di nuovi ad ogni new game+ successivo.


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Starfield è senza dubbio un'opera monumentale, densa di contenuti come mai prima d'ora, e con una vastità potenzialmente illimitata o quasi, realizzata con cura e passione nell'arco di ben otto anni. L'impianto ludico in sé è quello classico degli action RPG di Bethesda, nel bene e nel male, quindi chi si trova a proprio agio e ama questo approccio al gioco di ruolo non potrà che amare questo titolo, mentre chi non apprezza l'impianto ludico della software house o non si è mai avvicinato a produzioni simili dovrebbe sapere prima che si trova di fronte ad un tipo di gioco di ruolo non eccessivamente moderno, con grandissimi pregi ma altrettanti difetti, alcuni storici, quindi dovrebbe ponderare attentamente l'acquisto. L'esplorazione spaziale, pur presente, non è il fulcro dell'opera, che rimane un puro RPG d'azione, con una scrittura decisamente sopra la media, anche rispetto alle precedenti opere del team, con un comparto tecnico gradevole ma non propriamente al passo coi tempi. In definitiva una grande opera, coinvolgente ma imperfetta.Starfield - recensione dell'epopea spaziale di Bethesda