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The Covenant: la recensione del film di Guy Ritchie, un war-movie poco nel suo stile

Guy Ritchie torna alla regia dopo Operation Fortune, in un film che ha molto del suo timbro: The Covenant. La pellicola racconta le vicende che troppo spesso accadevano in Afghanistan durante il periodo nel quale c’era l’esercito degli Stati Uniti a controllare le diverse zone di guerra.

Durante il conflitto, infatti, i soldati americani si affidavano molto spesso a uomini della zona. Questi facevano da interpreti ai vari squadroni che si muovevano all’interno del territorio afgano. Le diverse squadre erano alla ricerca di possibili minacce e di esplosivi posseduti dai talebani e che avrebbero potuto favorire attacchi terroristici.

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Guy Ritchie: la sua firma in un film molto più serio del solito

I film di Guy Ritchie sono molto spesso caratterizzati anche da sfumature di humor, che smorzano la tensione del momento ed aiutano a digerire la scena. La differenza di The Covenant con i classici film del regista è proprio questa, una pellicola seria che non vuole smorzare il tono. Anzi, il film cerca di sottolineare quello che è stato un periodo reale e struggente degli interpreti dell’esercito degli Stati Uniti in Afghanistan.

The Covenant, infatti, vuole denunciare quello che troppo spesso è accaduto durante il conflitto. In quel periodo gli interpreti del posto cercavano di aiutare i soldati statunitensi a trovare tracce dei terroristi, venendo poi presi di mira proprio dai talebani. È il caso di Ahmed, interpretato da un bravissimo Dar Salim. L’uomo aiuta lo squadrone del sergente Kinley (Jake Gyllenhaal) a trovare il nascondigli del terroristi, per poi venir preso di mira proprio dalle milizie afgane che vogliono ucciderlo.

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La pellicola vuole denunciare il mancato aiuto da parte del governo degli Stati Uniti a questi uomini coraggiosi. Perché nonostante sapessero del grave pericolo che stavano affrontando, mettendo a rischio anche le loro famiglie, hanno cercato di aiutare a rintracciare i talebani, ricevendo in cambio solo una pacca sulla spalla. Uomini che avrebbero voluto ricevere una green card per gli USA, ma che molto spesso non sono stati ricompensati a dovere e lasciati a morire o addirittura ad essere torturati dai talebani.

Un messaggio politico, che vuole denunciare fatti accaduti troppo spesso

Ed è su questo messaggio che vuole concentrarsi The Covenant. Una denuncia rimasta troppo tempo inascoltata, alla quale Guy Ritchie ha voluto dare voce. Uomini che hanno dato la vita per gli Stati Uniti d’America e che per colpa di ostacoli burocratici spesso sono rimasti bloccati in Afghanistan. Vivendo da fuggitivi, rintanandosi per paura di venire fucilati.

Ritenuti traditori del loro paese, persone come Ahmed ce ne sono state troppe durante la guerra. In pochissimi sono riusciti a mettersi in salvo, ed ancora meno hanno avuto un visto per gli Stati Uniti, nonostante siano stati molto utili alla casua americana.

Nel film John Kinley (Jack Gyllenhaal) prova sulla sua stessa pelle gli ostacoli burocratici che bisogna scavalcare per far ottenere al suo amico il via libera per lasciare il paese. A nulla servirà il polverone creato da Kinley per prendere passaporti per Ahmed e la sua famiglia. Questo è quello che accadeva troppo spesso, e purtroppo non sempre andava a finire bene, con gli interpreti braccati che alla fine venivano catturati e giustiziati come traditori. Una verità scomoda, che Guy Ritchie ha voluto raccontare nel film. The Covenant è anche una storia di speranza ed amicizia fraterna, nata tra le montagne del deserto Afgano tra due uomini in cerca di una speranza.

The Covenant: una storia di amicizia a metà tra realtà e finzione

Una storia di amicizia tra Ahmed ed il sergente Kinley. Un rapporto nato dopo esser sopravvissuti ad un attacco da parte dei talebani e riuscendo ad uscirne vivi per miracolo. I due si ritrovano dispersi nel deserto, e nel tentativo di raggiungere la base americana più vicina, Kinley rimane ferito ed inabile a muoversi.

Ahmed decide trascinarlo per quasi 100 km e salvargli la vita dopo una missione impossibile. Durante il viaggio per la sopravvivenza tra i due nasce un legame indissolubile ed indistruttibile, che permane nel tempo. Gli uomini si sono aperti alle loro paure, alle loro ansie e facendosi forza a vicenda nonostante la brutta situazione che si era creata. In qualche modo l’interprete riesce a salvare il sergente dopo un lungo tragitto.

Insomma un film da vedere, che parla di amicizia, lealtà e coraggio. Storie come queste si sono sentite troppo spesso durante la guerra. Ancora oggi escono filmati e confessioni dei diretti interessati che ora sono in salvo ed al sicuro in occidente. Potete trovare The Covenant su Prime Video.

Voi che ne pensate del film? Vi è piaciuta l’ultima pellicola diretta da Guy Ritchie? Fatecelo sapere con un commento.


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The Covenant affronta uno degli argomenti più controversi degli ultimi anni negli Stati Uniti, quelli degli interpreti di guerra in Afghanistan, usati e lasciati a se stessi a missione compita. Molti di loro si sono nascosti, molti altri sono morti tra le torture dei talebani e pochissimi sono riusciti a fuggire in America. Ritchie porta sullo schermo un racconto per metà finzione e per metà realtà: intenso, vero e profondo.The Covenant: la recensione del film di Guy Ritchie, un war-movie poco nel suo stile