Giorgia Turnone fa il suo debutto in libreria a inizio 2024 con un saggio, edito Bookabook, dedicato a una delle serie tv più amate di sempre: Il Trono di Spade. Ve ne abbiamo parlato a fine luglio in questa recensione e oggi vi proponiamo l’intervista all’autrice.
Ciao Giorgia e benvenuta su NerdPool!
O si vince o si muore. Lineamenti interpretativi del Trono di Spade è il tuo primo libro, un saggio di natura filosofico-sociologica. Scrivere un libro è sempre stato un tuo sogno, un tuo obiettivo?
Prima di cominciare l’intervista, vorrei ringraziare te e tutta la redazione per lo spazio concessomi e per l’attenzione dedicata al mio primo libro. A proposito di libri, la letteratura ha sempre rappresentato uno dei miei principali interessi, sin dai miei anni scolastici. Amavo le lezioni di grammatica e antologia, così come le verifiche di italiano, che consistevano nella stesura di un tema, di un saggio breve, o ancora nello svolgimento di un’analisi del testo. Da ragazzina, insieme a mio fratello e a mio cugino, mi sono cimentata nella scrittura di un racconto gigantesco, chiamato Meschinovela a uno sproposito di puntate (eravamo piuttosto fantasiosi!). Ricordi meravigliosi, ma non solo: anche i primi passi che mi hanno portata a familiarizzare con la scrittura in termini continuativi e con la coerenza della narrazione. Sì, irrompere nel mondo editoriale è stato un obiettivo che ho coltivato negli anni, e l’utilizzo di questo verbo, “irrompere”, non è casuale: quello editoriale è un ambiente difficile, competitivo, in continua evoluzione. Occorrono spalle larghe e molta, molta pazienza per godere dei primi risultati. Personalmente, mi ritengo molto soddisfatta del mio esordio e della casa editrice che ho scelto per iniziare quest’avventura.
In un panorama di serie tv così vasto e variegato, perché hai scelto proprio Il Trono di Spade? Come è nata questa tua passione per il mondo martiniano?
Come alcuni dei grandi amori, anche il mio verso questa serie nasce da un’iniziale diffidenza. Vi racconto un aneddoto: era il 2019 e, mentre passeggiavo con il mio amico Andrea (che, appunto, in termini martiniani definirei senz’altro come la mia spada giurata), vidi una serie quasi infinita di libri, gadget, dvd a tema Trono di Spade, che sapevo essere un fenomeno di massa (non amo particolarmente i fenomeni di massa o, almeno, mi ci approccio con cautela). Il nostro dialogo andò più o meno così: “Ma sì, diamogli una chance, cerchiamo di capire perché tutti sono impazziti per questa serie.” – “Ci vediamo la prima puntata, stasera?” – “Sì, se non ci piace non continuiamo”. Di puntate ne vedemmo tre e in pizzeria non facemmo altro che fare ipotesi sul prosieguo di quella storia che ci era sembrata subito incredibilmente avvincente. Dopo aver visto tutte le stagioni, mi sono avvicinata agli scritti di George R. R. Martin e alla sua figura autoriale e, nel pieno della pandemia, ho maturato l’idea di scrivere un saggio a proposito del Trono di Spade, conclusosi con un finale che ha lasciato l’amaro in bocca a molti.
Il tuo saggio è un lavoro davvero molto dettagliato e approfondito, di quali strumenti ti sei avvalsa per realizzarlo? Quali ricerche hai compiuto?
È stato un lavoro portato avanti per due anni. Il saggio non intende riportare ciò che altri autori pensano su temi e personaggi del Trono di Spade, bensì proporne la mia personale interpretazione. Per farlo, naturalmente, ho cercato di rintracciare fonti solide, credibili: penso, per esempio, all’analogia tra Tywin Lannister e il Principe di Machiavelli, o a quella tra Ditocorto e Fouché. I personaggi sono tutti molto ben caratterizzati, per questo in loro è possibile rintracciare rimandi e suggestioni storiche più o meno celebri.
La serie de Il Trono di Spade, ideata da David Benioff e Daniel Brett Weiss è un’opera mastodontica: 8 stagioni, 73 episodi, 59 Emmy, 160 nomination, senza dimenticare il record di telespettatori, incassi e costi di produzione. Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nell’affrontare un’opera così ampia e strutturata?
Sicuramente la parte più difficile è stata quella di illustrare i risvolti di particolari tematiche presenti in specifici personaggi: in ordine di proporre un lavoro il più accurato possibile (per quanto non esaustivo in termini assoluti), ho rivisto ogni singola scena di tutti i personaggi da me scelti. Durante la visione, trascrivevo su un blocchetto qualsiasi elemento mi intrigasse, o potesse tornarmi utile, anche racchiudendolo in una singola parola chiave. Poi, “scomponevo” il tutto per costruire una struttura di analisi coerente e cercavo di innestarlo nella logica più generale del senso dell’opera.
Il tuo libro è suddiviso in quattro parti: la prima è più tecnica, analizza la fotografia, le inquadrature e l’indimenticabile sigla; la seconda riguarda il tema portante della serie, ossia la lotta al potere nella conquista del Trono; la terza, il tema dell’identità e della ricerca del sé affrontata da diversi personaggi; la quarta e ultima, infine, scandaglia i temi che tanti hanno criticato, ossia la forte presenza del sesso e della violenza. C’è un argomento o un tema che avresti voluto approfondire maggiormente, o a cui avresti voluto dedicare più spazio?
Di quelli che ho individuato e affrontato, no. Però mi sarebbe piaciuto scrivere un capitolo intero sulla questione spinosa e controversa dell’onore, soprattutto in rapporto ai codici sociali presenti nella serie e ai desideri reconditi che albergano in ogni essere umano. Accenno alla questione nel paragrafo su Jaime Lannister, purtroppo brevemente. Il Trono di Spade ha dato molto spazio ai concetti di onore, dovere, etica, fedeltà alla parola data, giuramenti istituzionali, nelle loro luci e nelle loro ombre; concetti che fortunatamente sto ritrovando anche in House of the Dragon nella figura (generalmente poco apprezzata, per me molto interessante) di Ser Criston Cole.
Ho apprezzato moltissimo l’analisi fatta dei numerosi personaggi, soprattutto quelli più “negativi” e spesso bistrattati, e sarei curiosa di sapere: quale tra loro è il tuo preferito e per quali motivi?
Faccio una premessa: per me, scegliere tra Cersei e Jaime Lannister sarebbe come scegliere tra mamma e papà o tra la Roma e Totti. Vale a dire, tecnicamente impossibile. Se proprio devo farlo, ti dico Cersei, un personaggio gigantesco, squisitamente complesso, interpretato da un’attrice che ha saputo mostrarne egregiamente ogni sfumatura. È ambiziosa e ribelle, scomoda nelle maglie di una società patriarcale che tenta in tutti i modi di ingannare, a volte riuscendovi, a volte no. Non esita a usare il suo corpo come arma, pur rimanendo una donna innamorata. Si rende protagonista di azioni riprovevoli e non se ne pente, mai. Cersei è umanissima nei suoi desideri e nella sua caduta, coerente fino in fondo con sé stessa. Jaime viene subito dopo, per me il personaggio maschile più interessante della serie. Non è un eroe e la sua non è una storia di redenzione, ma di conflitto. Prova e riprova a migliorare sé stesso dopo aver perso la mano della spada, e ci riesce, ma la sua morale resta piuttosto ambigua, come il suo cuore resta adombrato. Torna da Cersei quando ha raggiunto il massimo grado di maturità e consapevolezza, quando è un uomo “riformato” secondo ciò che la società si aspetta da un cavaliere, perché “l’amore è la morte del dovere” e lui forse l’ha sempre saputo. D’altronde, la sua storia è forgiata nel relativismo morale: uccide il suo re, ma salva migliaia di vite. Cersei e Jaime incarnano una delle rappresentazioni più scomode dell’amore, un sentimento potentissimo ma svincolato dalla morale. Dal grembo alla tomba: per me, il loro finale non poteva essere che quello.
È risaputo quanto l’ultima stagione della serie abbia diviso il pubblico, moltissimi sono rimasti delusi da un finale reputato frettoloso e dall’esito delle vicende di alcuni dei personaggi più amati. Il tuo parere in merito emerge chiaramente dal tuo libro, ma c’è invece qualcosa che cambieresti delle scelte fatte dagli autori della serie?
La domanda è difficile. Probabilmente, aveva ragione Martin quando asseriva di volere più di dieci stagioni per il Trono di Spade, tredici per l’esattezza. Sicuramente, con un maggiore approfondimento degli archi dei personaggi rimasti, lo stesso finale avrebbe avuto un altro sapore, in primis la minaccia degli Estranei. Una cosa che avrei certamente cambiato è la morte del Re della Notte: doveva essere Jon Snow a ucciderlo, dopotutto la sua intera storia l’ha portato a riunire gli eserciti per la Lunga Notte, è il figlio del ghiaccio e del fuoco, ovvero di Lyanna Stark e Rhaegar Targaryen. Il fatto che sia Arya Stark a farlo non ha molto senso, narrativamente parlando. Vorrei concludere con un paio di appunti. A proposito di Rhaegar, è stato un delitto mostrare così poco di lui. Un solo flashback, riguardante le sue nozze segrete, non spiega nulla della sua importanza nella trama. Cersei e Jaime, per esempio, avrebbero dovuto nominarlo spesso, per dare allo spettatore molte più informazioni che avrebbero aiutato a ricostruire la sua figura. Anche Tywin avrebbe potuto farlo, o ancora Viserys. A conti fatti, è Ser Barristan a dirci qualcosa di rilevante a proposito del primogenito di Aerys, che contrasta platealmente con le voci diffuse che lo dipingono come uno stupratore. Il pubblico era così, giustamente, diviso tra l’opinione di un uomo d’onore e quella che è la verità dei ribelli, capeggiati da Robert Baratheon e Ned Stark: tutto questo suscita senza dubbio intrigo e curiosità nello spettatore. Avrei inoltre inserito la scena in cui Daenerys, una volta fuggita dalla fossa di Daznak a dorso di Drogon, sogna suo fratello Viserys, vivo ma sfigurato, con l’oro fuso ancora sul capo. Nei libri, il loro dialogo è potentissimo. Un peccato che non abbiano avuto modo di mostrare quanto tragico sia stato il passato del Re mendicante, che si presta benissimo come lente di ingrandimento grazie a cui leggere la sua discesa nell’oblio e anche la condizione che porta Daenerys stessa a cedere ai suoi peggiori impulsi. Non chiamiamola pazzia: la loro oscurità è molto più stratificata e complessa da afferrare.
Questo è il tuo primo libro, ma confidiamo di leggere presto qualcosa di tuo in futuro. Hai già qualche nuovo progetto in cantiere? C’è qualche argomento che ti stuzzica in particolare?
Progetti ce ne sono. Uno su tutti, un saggio interpretativo sulla saga di Star Wars. Ma la conclusione della seconda stagione di House of the Dragon sta stuzzicando in me la voglia di scrivere qualcosa in merito a questa recente trasposizione della HBO, che ha il demerito di divergere eccessivamente da un libro già finito (Fuoco e sangue). Al netto di legittime prese di posizione degli sceneggiatori, in forza del principio di libertà creativa, trovo che i Verdi siano rappresentati in modo troppo disfunzionale (anche se rimangono molto interessanti), mentre i Neri, di contro, risultano troppo levigati, moralmente ingentiliti dalla narrazione e poco “sul pezzo”: un gran peccato, considerando il materiale da cui è possibile, anzi, lecito attingere. Va benissimo rielaborare, perché dalle rielaborazioni possono nascere nuovi spunti, ma sempre nel rispetto della matrice d’origine. Per esempio, se ben contestualizzata, non ho particolari problemi con la storia tra Alicent e Criston Cole, cosa che non posso dire della deriva del rapporto tra Aegon e Aemond (e mi taccio su Sangue e Formaggio).. Ecco, potrei gentilmente “sfruttare” House of the Dragon per approfondire le difficoltà, le esigenze e le idee in merito al tema degli adattamenti come “opere di palinsesto”, per citare lo studioso scozzese Michael Alexander. Ma al momento è solo un’idea tra tante.
Ringraziamo Giorgia Turnone per la disponibilità e vi invitiamo a recuperare il suo saggio O si vince o si muore. Lineamenti interpretativi del Trono di Spade! Ci risentiamo presto su questi canali per altre interviste dal mondo dei libri!
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