NerdPool.it The Killer, la recensione: cinema popcorn? No, piuttosto divano e McDonald's

The Killer, la recensione: cinema popcorn? No, piuttosto divano e McDonald’s

Presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo film di David Fincher – dal 10 novembre su Netflix -è un thriller dall’impostazione classica e racconta la storia di un uomo che compie omicidi in cambio di ricompense economiche. Michael Fassbender presta dunque il volto ad un personaggio cinico, scettico e solitario, pronto ad agire in un silenzio desolante sporcato solamente dalla sua stessa voce fuori campo, che accompagna lo svolgimento del film e lo scorrere delle immagini con un flusso di coscienza ansiogeno e spettrale.

Il Killer di Fassbender, gelido e senza pietà, ha motivo di esistere e certamente regge con successo tutta la pellicola sulle proprie spalle. L’assenza di etica e l’eccesso di dedizione che si traduce in obbligata impassibilità fanno di lui un personaggio affascinante, lo scetticismo ante litteram e la fulminante razionalità che lo caratterizzano sono le stesse dell’essere umano contemporaneo, di una società freddamente scientista che ha smesso di credere nella tempesta del sublime – forse anche per lo spavento che quest’ultima, inevitabilmente, produce – e nell’imponderabilità della magia.

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La mano di David Fincher è inconfondibile e quest’opera crepuscolare contiene la maggior parte dei suoi giochi di prestigio tecnici e delle sue ossessioni concettuali, eppure non riesce a decollare né a reggere il confronto con l’atmosfera dei suoi lavori più riusciti. The Killer è un buon thriller di alta tensione, che spreca le grandi premesse poste da una partenza ricca di pathos e finisce per affondare nelle acque della prevedibilità di una qualsiasi storia di vendetta.

La capacità che ha il film di intrattenere lo spettatore dovrebbe essere scontata considerando l’abilità registica e narrativa di Fincher, invece il cineasta statunitense sembra accontentarsi di servire a Netflix un prodotto accettabile nell’ottica di una basilare fruizione di massa. Questa può rivelarsi un’occasione per riflettere sull’influenza che le piattaforme stanno esercitando sul linguaggio cinematografico e sull’appiattimento cui si va incontro quando osare non è richiesto e lo straordinario non è più necessario per vendere: in questa prospettiva, preservare il concetto di film al cinema non equivale soltanto a difenderne la dimensione fisica della visione in sala, bensì a permettere che la tempesta autoriale possa ancora scatenarsi con pioggia, lampi e tuoni e che il pubblico possa ancora avere paura.

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