Sud dell’Inghilterra, inizio degli anni 80. Sono anni burrascosi, di metemarfosi dolorosa. Sono gli anni della signora Thatcher al governo, gli anni degli skined e del post punk, gli anni dei Troubles tra cattolici e protestanti. In questo mondo complicato, che vive una profonda palingenesi: sembra esservi tuttavia ancora spazio per un vecchio cinema sbiadito, e per le storie dei suoi “inquilini.” I dipendenti del cinema Empire.
I protagonisti
Hilary (Olivia Colman) è una donna di mezza età , intrappolata in una routine quotidiana soffocante. Circondata da uomini brutali, che abusano di lei psicologicamente e talvolte fisicamente. I problemi mentali per la donna: chiamata a gestire il cinema senza alcun riconoscimento, non tardano ad arrivare. A rivoluzionare la sua vita sarà un nuovo dipendente Stephen (Micheal Ward), un giovane ragazzo di colore di umili origini, ma dalla grande sensibilità . Cosa avrà in serbo il destino per i due?
La nascita del sentimento
Tra le mura delll’Empire, nasce un crescente sentimento tra la donna e il giovane ragazzo, che culminerà in una relazione burrascosa. La reciproca attarzione, fondata sulle affinità intelletive e emotive, si scontrerà infatti con una serie di ostacoli. In primis il pregiudizio delle persone verso la loro relazione, ma anche i crolli psicologici di lei e il crescente razzismo che cova nelle strade. Una miscela al quanto esplosiva… Riuscirà il loro amore in fine a trionfare o il destino finirà con il dividerli?
Una grande matryoshka
Il film è in fondo una grande matryhoska. Uno spaccato di vita in grado di raccontare tante storie e di toccare tanti temi. Tutti i personaggi hanno una ragion d’essere, anche quelli teoricamente più secondari sono ben dipinti e funzionali alla narrazione. Inoltre si toccano tanti temi di critica sociale scottanti, che qui accenniamo solamente. La critica all’abuso di potere da parte dei capi che pretendono prestazioni sessuali da parte delle dipendenti. La critica al crescente razzismo di quegli anni. Un attacco feroce al sistema sanitario, molto ligio nel rinchiudere nei manicomi gli elementi devianti della società . Una riflessione tremendamente attuale sulla piega possesiva e soffocante che può prendere una relazione tra un uomo e una donna.
Un racconto crepuscolare
Al fianco dei temi di ben amalgamati di critica sociale, che nelle nostre recensioni non manchiamo mai di rimarcare, vi è un racconto crepuscolare. Un mondo grigio rischiarato dalla luce din amore sincero e spotaneo. Un sentimento nato tra due persone che sentono di appartenersi, ma che allo stesso tempo sanno che per loro non vi era futuro: eppure non riescono a dirsi addio.
Musiche e prove attoriali
Le prove attoriali sono tutte sontuose nel dipingere un racconto drammatico eppure così pieno di speranza. Risaltano in particolare quelle dei protagonisti: Olivia Colman e Micheal Ward. Ma una nota particolare va al grandissimo Colin Firth nei panni del capo simbolo di un potere maschilista e decadente. Le musiche sono perfette, mai invadenti, sempre calzanti e in armonia con la narrazione.
Riflessioni finali
Siamo di fronte ad una delle più grandi regie di Sam Mendes, autore tra le altre cose di 1917 e 007 Skyfall. Un film profondo, drammatico, con una storia d’amore tutt’altro che commerciale e un sottotesto mai banale. Un film con delle intuizioni di regia davvero squisite, con una cinepresa che entra nell’intimità dei protagonisti senza mai violarla. Un film completo, che ha tutto: critica sociale, pathos, amore e dramma. Un film in grado di far riflettere sulla funzione catartica del cinema, ben rappresentata dalla scena finale. Infatti perché andiamo al cinema se non per piangere, gioire, emozionarci? Il cinema per noi moderni in fondo non è diverso dal teatro per gli antichi greci. Un film imperdibile dunque, che non possiamo che consigliarvi di vedere dal 2 Marzo in sala!
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