Dragon Age: The Veilguard è sicuramente uno dei titoli più chiaccherati dell’ultima settimana. Questo perché EA ha scelto appositamente di rilasciare poche copie review per gli esperti del settore, dando adito al pettegolezzo che non volesse ricevere recensioni negative. Questo potrebbe anche essere vero, ma crediamo che la scelta del colosso statunitense sia invece da ricollegare a una volontà maggiore di far vedere il proprio prodotto. Questo si può vedere nelle recensioni della critica di Metacritic, dove possiamo notare un buon favore dei diversi portali. Ovviamente, alcuni di questi voti sono fin troppo alti, andando a mettere il titolo BioWare al piano di capolavori assoluti. Quello che lascia più sconcertati però non sono le reviews troppo entusiastiche, ma le review negative degli utenti che, in molti, evidenziano come il gioco si woke. Ma è davvero solo questo o c’è altro che non fa apprezzare Dragon Age: The Veilguard? Per scoprirlo, forse è meglio fare un piccolo passo indietro e ripercorrere, in parte, la storia dei giochi BioWare.
Una storia queer
I giochi di BioWare sono da sempre queer, infatti, già nei primi titoli di quella che un tempo fu la software house regina dei cRPG si poteva avere relazioni tra persone dello stesso sesso. Questo già nel 2000 quando Baldur’s Gate II arrivò su PC, qui si potevano intrattenere relazioni omosessuali tranquillamente, eppure a nessuno diedero mai fastidio. Da quello, siamo passati all’amore interraziale di Neverwinter Nights e Star Wars: Knights of the old Republic, fino all’arrivo di Mass Effect, Dragon Age: Origins e Mass Effect 2, dove l’amore libero era parte integrante dell’immaginario di quei titoli. Ovviamente, questo è continuato anche con tutti i seguiti della software house canadese, rendendolo un elemento stabile dei loro giochi, ma di cui nessuno ha sentito il bisogno di lamentarsi fino a ora. Sorge spontaneo a questo punto chiedersi perché cominciare a farlo ora.
Leggendo le diverse critiche dell’utenza, possiamo notare come, per moltissimi, sicuramente troppi, l’impronta woke sia troppo marcata in Dragon Age: The Veilguard ma, allo stesso modo, nessuno si è lamentato di questo fatto quando è uscito Baldur’s Gate III, tutt’altro. E questo porta a un nuovo quesito: è una critica lecita o si tratta della cosa più facile da criticare di un gioco complesso?
Quello che si evince andando a leggere le recensioni su diversi portali, tralasciando con voti troppo altisonanti, e di alcuni utenti di Metacritic, presenta un quadro ben diverso, dove l’elemento così odiato dai più risulta un mero contorno per un titolo che presenta dei difetti strutturali ben visibili. Alcuni di questi difetti si potevano evincere persino dai trailer, dove si poteva vedere ampiamente come Dragon Age: The Veilguard stesse tralasciando in toto la parte più ruolistica e di controllo del titolo, in favore di un approccio più action. Oltre a questo, pare anche che la storia non sia allo stesso livello di altri titoli di BioWare, ma su questo non possiamo dare un vero e proprio giudizio perché non abbiamo ancora giocato al titolo.
La critica woke perde quindi di senso, in favore di critiche ben più costruttive sul gioco che però sta continuamente venendo bombardate di recensioni negative per un singolo che aspetto che, in realtà, è sempre stato parte integrante di tutte le storie che BioWare ha raccontato nel corso degli anni.
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